mercoledì 2 giugno 2021

Scrivere in altre lingue

La storia della letteratura foisonne di autori che hanno scritto in Sprache diverse dal loro native language. A volte gli inserti sono puntuali e l'effetto è straniante, come nella frase che avete appena letto. Più spesso, gli autori scelgono di adottare una lingua per i motivi più vari e scrivono in quella lingua dall'inizio alla fine dell'opera. 

Tra gli autori più celebri ad aver operato questa scelta si può citare Samuel Beckett, che scrisse la sua pièce più conosciuta, Aspettando Godot, in francese. Beckett allora già viveva a Parigi, ma non parlava un francese fluente, e proprio per questo decise di cimentarsi in quella lingua. Voleva costringersi ad esprimersi nel modo più elementare possibile, a usare poche parole, a sceglierle con cura. Attraverso la scelta di una lingua, Beckett si è costruito un linguaggio.

Molti autori postcoloniali non scrivono nella loro lingua materna, ma in una lingua nella quale hanno letto, imparato, parlato e vissuto molto più di quanto Beckett avesse potuto impratichirsi nel francese ai tempi di Aspettando Godot. Naturalmente la scelta di scrivere nella lingua degli (ex) colonizzatori ha una valenza completamente diversa rispetto a quella di Beckett. Anche in quel caso, però, può essere un'interessante contrainte, un vincolo espressivo che funge da stimolo alla creatività. Abbiamo citato più volte in questo blog autori francofoni che reinventano completamente la lingua francese (uno per tutti Patrick Chamoiseau) ma gli esempi sono numerosissimi anche in ambito anglofono.

Ci sono poi casi ancora più complessi e stimolanti. come quello di Jhumpa Lahiri, una scrittrice statunitense di origine indiana, cresciuta in un contesto multilingue e multiculturale, diventata celebre scrivendo romanzi in inglese, che a un certo punto del suo percorso biografico e professionale ha scelto l'italiano. Si è trasferita a Roma con marito e figli e ha pubblicato, da allora, diversi racconti e un romanzo scritti direttamente in lingua italiana.

La caratteristica più evidente di questi scritti è che il loro tono è profondamente diverso rispetto a quello delle opere scritte in inglese. Sembra quindi che anche in questo caso, scegliere la lingua di espressione significhi scegliere il proprio linguaggio, o addirittura la propria voce. Si tratta ovviamente di un tema di riflessione cruciale per i traduttori. Ci rifletterò ulteriormente. Nel frattempo posto questo brevissimo video in cui Lahiri commenta la sua esperienza di apprendimento di una nuova lingua. Ci sono molte altre interviste più approfondite sullo stesso tema disponibili on line.



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