giovedì 27 novembre 2014

Il "volontariato culturale"

Il costante contatto con studenti di lingue e di traduzione mi conferma che spesso il lavoro considerato culturalmente prestigioso viene percepito come un premio. Tutti i traduttori che conosco, tutti i ricercatori o i dottori di ricerca hanno subito proposte relative a un lavoro che erano tra i pochi qualificati a poter svolgere ma che avrebbero dovuto svolgere gratis o dietro compensi irrisori (300 euro lordi per tradurre un intero romanzo di oltre 300 pagine, tanto per quantificare) perché fa curriculum. Per non parlare degli studenti che, essendo meno qualificati, spesso accettano quasi qualsiasi lavoro gli si proponga pur essendo costretti a svolgerlo in condizioni che non sono nemmeno formative. Forse qualche studente potrebbe credere che si tratti di un'occasione buona per "farsi notare". Ciò che si noterà, a lavoro gratuitamente compiuto, sarà che vi siete prestati a lavorare gratis. Non dubitate: altri vi riproporranno di farlo. Ma a che vi serve?

Cerchiamo ora di immaginare il punto di vista del datore di lavoro. Il profitto, si sa, è proporzionale alla quantità di merce venduta. La cultura però è un ambito nel quale la qualità è un elemento determinante. Se una produzione culturale o un servizio reso in ambito culturale non sono di qualità, il prodotto e il servizio stesso si svuotano del loro significato. Pertanto, cercare di risparmiare lanciando eserciti di dilettanti verso il magico mondo della cultura nuoce anche al sistema stesso e non solo ai singoli. Qualsiasi prodotto venduto a poco prezzo si vende. Ma se la qualità scade, non si venderà più tanto bene.

Se il lavoratore ha i titoli ma poca esperienza, o se per qualche motivo il datore di lavoro non si fida pienamente di lui o di lei, ebbene: che gli affidi un lavoro di minore entità, retribuendolo. Sarà semplice in questo modo verificare le competenze e decidere se affidare a quella persona l'intero progetto o se scegliere qualcun altro. In questo modo sarà possibile per il lavoratore dedicarsi solamente a ciò che fa e sa fare, perché non sarebbe costretto a guadagnarsi da vivere in altro modo. Così si instaurerebbe un circolo virtuoso di lavoratori della cultura competenti e motivati a migliorare la qualità dei servizi che offrono formandosi e dedicando tempo ed energie a ciò che fanno. I "consumatori di cultura" avrebbero un prodotto migliore e sarebbero forse disposti a pagarlo il giusto prezzo.

Pertanto vorrei fare appello ai colleghi, intellettuali, traduttori, interpreti, ricercatori, studenti, dottori e dottorandi: RIFIUTATE DI LAVORARE GRATIS! Cambiare le cose dipende da noi.