Il costante contatto con studenti di
lingue e di traduzione mi conferma che spesso il lavoro considerato culturalmente
prestigioso viene percepito come un premio. Tutti i traduttori che conosco,
tutti i ricercatori o i dottori di ricerca hanno subito proposte relative a un lavoro che erano tra i pochi qualificati a poter
svolgere ma che avrebbero dovuto svolgere gratis o dietro compensi irrisori
(300 euro lordi per tradurre un intero romanzo di oltre 300 pagine, tanto per
quantificare) perché fa curriculum. Per non parlare degli studenti
che, essendo meno qualificati, spesso accettano quasi qualsiasi lavoro gli si
proponga pur essendo costretti a svolgerlo in condizioni che non sono
nemmeno formative. Forse qualche studente potrebbe credere che si tratti di
un'occasione buona per "farsi notare". Ciò che si noterà, a lavoro
gratuitamente compiuto, sarà che vi siete prestati a lavorare gratis. Non
dubitate: altri vi riproporranno di farlo. Ma a che vi serve?
Cerchiamo ora di immaginare il punto di vista del datore di lavoro. Il profitto, si sa, è proporzionale alla
quantità di merce venduta. La cultura però è un ambito nel quale la qualità è
un elemento determinante. Se una produzione culturale o un servizio reso in
ambito culturale non sono di qualità, il prodotto e il servizio stesso si
svuotano del loro significato. Pertanto, cercare di risparmiare lanciando
eserciti di dilettanti verso il magico mondo della cultura nuoce anche al
sistema stesso e non solo ai singoli. Qualsiasi prodotto venduto a poco prezzo si vende. Ma se la qualità scade, non si venderà più tanto bene.

Pertanto vorrei fare appello ai colleghi,
intellettuali, traduttori, interpreti, ricercatori, studenti, dottori e
dottorandi: RIFIUTATE DI LAVORARE GRATIS! Cambiare le cose
dipende da noi.