mercoledì 22 febbraio 2017

Maternità

Il momento è giunto di parlare, ovviamente da dilettante, di maternità. Desidero parlarne brevemente, perché se ne dice davvero troppo. Ma proprio per questo spero che le mie parole arrivino a chi è alle prime settimane di gravidanza, travolta da un vortice di emozioni e sensazioni, ancora non del tutto consapevole della propria vulnerabilità né della propria forza. Vorrei che queste parole arrivassero prima della valanga di consigli non richiesti, delle domande maliziose o fuori luogo, prima della solitudine così difficile da immaginare quando si pensa che per nove mesi avremo qualcuno dentro, e per il resto della vita qualcuno ameno metaforicamente vicino.
Quella pancia, che in certi casi può diventare tanto pesante, dovrebbe invece diventare un simbolo, il simbolo di un palloncino che vola via dalle bassezze del mondo, dai doveri imposti, dai malumori (a volte anche causati dalla tempesta ormonale, non lo nego!). Le donne incinte dovrebbero, almeno nei pensieri, volteggiare allegramente al di sopra di tutti coloro che "per il nostro bene" cercano di convincerci che sarebbe stato meglio fare un figlio prima, o dopo, comunque non ora, che sarebbe meglio fare l'amniocentesi, sarebbe invece meglio non farla, che si deve essere seguiti da un ginecologo, no anzi da un'ostetrica, che bisogna lavorare fino al nono mese o mettersi a riposo il prima possibile, che dobbiamo fare l'epidurale, non farla, fare un cesareo programmato, partorire in casa, inserire aglio in vagina, prendere integratori, fare o non fare una serie di attività fisiche e mentali più o meno utili e più o meno disparate, ma che dovrebbero comunque essere il frutto di scelte e considerazioni del tutto individuali e private. Per non parlare del dopo parto: neanche i consigli dati in buona fede riguardo all'allattamento, al puerperio e più in generale alla puericultura dovrebbero distrarci dalla meraviglia di crescere nostro figlio o i nostri figli secondo i criteri validi per ciascuno. In una situazione normale di amore per i propri figli e di desiderio di farli vivere nelle migliori condizioni possibili, è lecito quasi tutto: non facciamoci convincere del fatto che far dormire un bambino col sacco nanna o col pigiamino sia una scelta determinante per la sua salute o per tutta la sua vita futura, perché così non è.
L'esperienza di conoscere bambini, anche di pochi mesi, e genitori ricoverati con loro in un reparto di pediatria, mi ha fatto relativizzare molte cose che prima mi sembravano fondamentali. Non solo perché ho toccato con mano i problemi davvero gravi, ma perché ho potuto capire che erano nella maggior parte dei casi del tutto indipendenti dalle scelte volontarie effettuate dalla madre durante la gravidanza e il parto. Partorire significa sostanzialmente lasciare andare, ed è il primo passo verso un accompagnamento all'emancipazione e all'indipendenza. I figli sono destinati ad avere la loro vita, per fortuna indipendente dalla nostra, e l'unica cosa che possiamo fare sin dalla gravidanza è adattarci. Quei nove mesi di limbo sono una palestra, sta a noi essere sufficientemente ricettive da capire di che cosa abbiamo bisogno in quel momento, e sulla base di quello decidere se è meglio andare in mountain bike fino al giorno del parto o fare esercizi di respirazione badando a non affaticarsi troppo. Lo stesso vale per il parto: a seconda di quel che succede, si deciderà, aiutate magari da personale preparato, quali scelte possono rendere più agevoli la nascita del bambino e le fatiche della mamma. Informarsi aiuta molto, ma è opportuno informarsi da fonti certe e verificabili in merito a dati medici e fisiologici, informarsi sulla effettiva situazione di quel momento o sui dettagli dei protocolli ospedalieri. L'esperienza in questi casi serve, ma raramente agli altri. Ciò che è capitato alla figlia della dirimpettaia non capiterà necessariamente alla figlia vostra o a voi.

Dopo la nascita la cosa più importante mi sembra osservare, osservare e osservare, perché se la maggior parte dei neonati gradisce una certa cosa ma nostro figlio no, è del tutto inutile obbligarlo. Questa osservazione sarà molto utile anche in seguito, almeno finché il bambino non sarà in grado di esprimersi in modo articolato, per capire quali sono le sue necessità e le sue condizioni di salute. Naturalmente, anche in questo caso, l'osservazione andrà confrontata con dati verificati e verificabili e/o con la consulenza di specialisti. Magari poi, sarebbe utile insegnare anche alla creatura ad ascoltare il proprio corpo e a non ritrovarsi come noi, in piena età adulta, disorientate e con l'ansia di controllare una serie di eventi che, per definizione, sono ben oltre la portata nostra e di un qualsiasi altro essere umano.