domenica 28 settembre 2014

Capitano di nessuno

Pochi giorni fa, sul Venerdì, Luigi Irdi, intervistando Massimo Recalcati in merito al suo libro L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento, ha scritto: "Tutti gli insegnanti in fondo vorrebbero essere Robin Williams dell'Attimo fuggente, non crede?" Si tratta di un'opinione molto diffusa, ed effettivamente alcuni insegnanti salgono sulla cattedra, fanno declamare versi durante performance fisiche, suscitano passioni travolgenti e fanno innamorare gli studenti. Molti altri non lo fanno, e io sono tra questi ultimi.

Intendiamoci: anche io ho amato L'attimo fuggente, forse anche perché l'ho visto al cinema, l'anno in cui è uscito, in piena adolescenza e soprattutto a monte della retorica che lo ha irrimediabilmente imprigionato negli anni successivi. Infatti la regia impeccabile di Peter Weir, la capacità di coinvolgere di Robin Williams e la bravura degli altri giovanissimi attori hanno reso questo film patrimonio di tutti, anche dei pedanti che, pur non avendo mai insegnato un solo giorno, pretendono di aver carpito il segreto dell'insegnante di successo.

Insomma, io discuto il tentativo di applicazione pratica di questo film, come se si trattasse di un manuale di didattica, tanto più che il film stesso non fa mistero del fallimento didattico, almeno parziale, dei metodi dell'insegnante protagonista. Inoltre, il film è ben calato in uno degli universi chiusi che caratterizzano il genio di Peter Weir, in un contesto lontano dai nostri tempi e paralizzato da una serie di circostanze che - per fortuna - non caratterizzano certo l'ambiente scolastico italiano di oggi. Inoltre il film è ambientato in un campus, una realtà assente dalla scuola superiore italiana. Voglio comunque sottolineare che i docenti che "fuggono da quell'attimo", non prediligono necessariamente un modello didattico nel quale l'insegnante immobile emana conoscenza e gli alunni si arrabattano in qualche modo per capire qualcosa. 

Il punto è che un insegnante non è il "capitano" di nessuno e non per modestia, ma perché porsi come il "capitano" è troppo facile. La missione per eccellenza di un docente è quella di far imparare qualcosa, e allora ben vengano i metodi non ortodossi (ma chi fa ancora lezione leggendo il libro pagina per pagina?), ben venga l'interattività, l'informatica, ben vengano pure i blog e i social network. Questo è il mondo, e la scuola è nel mondo. Ma insegnare qualsiasi materia significa anche insegnare la cittadinanza in senso lato: l'indipendenza e la libertà di giudizio. Credo che la figura di un "capitano" possa facilmente confondere gli adolescenti come confonde uno degli allievi del film, che si suicida perché, contrariamente a quanto ha detto al professore, non è riuscito a confessare alla famiglia di voler fare l'attore. Quando i genitori scoprono che ha recitato senza il loro permesso, la crisi familiare che ne consegue e le minacce paterne portano il ragazzo al gesto irrimediabile.

Ebbene, la cosa più importante che si può imparare nella vita è saper far fronte alle avversità. Ogni insegnante dovrebbe trasmettere, insieme alla propria materia, l'informazione che quello che ci capita nella vita può raramente disumanizzarci. Sta a ciascuno trovare un modo per volgere al meglio anche le sventure. Se uno studente ha un "professor Keating", un capitano, sarà portato a confondere l'espressione di sé con il culto della personalità e l'autoaffermazione con la mancanza di rispetto. Un insuccesso nella materia del "capitano" per alcuni alunni potrebbe trasformarsi in un problema esistenziale. 

Il cammino verso la cittadinanza e la maturità non finisce mai, ma deve passare, a mio modesto parere, per la negoziazione con il mondo. Se si viene educati, ad esempio, ad esprimere la propria opinione senza tener conto delle regole di espressione imposte da un determinato ambiente e se queste regole non si introiettano mai, nel lungo periodo sarà anche più difficile sovvertirle. La vera libertà nasce dall'assunzione di responsabilità e dalla continua negoziazione sociale. Senza questo tipo di libertà diventa pressoché impossibile accorgersi poi di quali regole si desidera cambiare. Vogliamo strappare le pagine del libro? Strappiamole, ma per renderci conto del significato e della portata di quello che stiamo facendo, di libri dobbiamo averne studiati e idolatrati molti, prima.
Insomma: senza regole, niente rivoluzione. E, di questi tempi, dovremmo crescere qualche rivoluzionario in più...