martedì 9 febbraio 2010

di Haiti non si sa niente

Per circa due settimane Haiti ha fatto irruzione nelle nostre case con il terremoto che l'ha devastata. Ora un po' di tempo è passato, anche le fortissime scosse successive alla prima hanno smesso presto di fare notizia, i telegiornali non parlano più di questa mezza isola, e noi italiani siamo ripiombati nella nostra ignoranza. Perché in Italia non si parla mai di Haiti? La risposta è molto complessa. Di certo mancano a tutti noi le conoscenze di base per capire quali conseguenze possa avere una catastrofe naturale in un paese come questo.

Haiti ha vissuto una storia davvero peculiare e difficilmente associabile, nella sua complessità, a quella di altri paesi. Come la maggioranza delle isole caraibiche, è stata uno dei tre poli della famigerata tratta degli schiavi. Nei secoli di dominazione coloniale francese e inglese, quindi, il contesto storico-culturale dell’isola può essere comparabile a quello di altre isole caraibiche più studiate in Europa. Tuttavia, ciò che distingue Haiti dalle altre ex-colonie europee nei Caraibi è che fu la prima isola in cui la rivoluzione anti-francese (ma paradossalmente ispirata ai principi della rivoluzione francese) riuscì. Nel 1804 infatti Haiti scelse il proprio nome e si autoproclamò Repubblica Negra indipendente. Questo evento senza precedenti ebbe una risonanza enorme in Europa e in America.

Dopo l’indipendenza, la politica di Haiti fu estremamente instabile per un lunghissimo periodo, anzi si potrebbe affermare che fino ad oggi l’isola ha continuato a conoscere rivolgimenti politici importanti che hanno finito per danneggiarne la vita economica e sociale. Tra i tanti fattori che hanno contribuito a questa storia tormentata, uno dei principali è l’ostracismo economico e, per così dire, morale che l’intera comunità internazionale ha attivato nei confronti di questa mezza isola sin dai primi tempi della sua indipendenza.

Jean-Jacques Dessalines, il primo capo dello stato di Haiti, si autoproclamò imperatore a soli due anni dall’indipendenza, contribuendo alla frammentazione dell’isola in due parti (nord e sud), una retta da un imperatore e l’altra sedicente democratica. Dessalines rimase comunque simbolicamente un punto di riferimento per gli haitiani, anche se la sua fama, come quella del suo successore Henri Cristophe, derivò anche dalla sua efferatezza. Inoltre, paradossalmente, questi re che erano stati schiavi ristabilirono di fatto in pochi anni un sistema del tutto simile a quello delle piantagioni, con l’unica differenza che i possidenti non erano più i bianchi ma i neri e i mulatti vicini all’imperatore.

Questa situazione incrementò la già elevata diffidenza esterna nei confronti di Haiti, a proposito dei cui costumi – e in particolare sul tema del vudù- nacquero leggende vive ancor oggi. Riguardo agli eventi politici della fine del diciannovesimo secolo, si può ricordare che Haiti si riunificò, si annesse e poi si separò dalla Repubblica Dominicana, e visse qualche decina d’anni di tormentata repubblica presidenziale. Tra il 1915 e il 1930 fu sotto il controllo militare americano, che ebbe le caratteristiche salienti di tutti i controlli militari esercitati dagli Stati Uniti nell’ultimo secolo.

Pochi anni dopo la dipartita formale degli americani, si instaurò un regime militare segretamente sostenuto dal governo statunitense che sfociò inevitabilmente in una dittatura. Si tratta della famigerata dittatura di François Duvalier (soprannominato Papa Doc) e di suo figlio Jean Claude Duvalier (Baby Doc) che durò complessivamente dal 1957 al 1986. Come molte dittature, quella di Papa Doc in particolare fece leva sull’immaginario popolare e sulla tradizione mitica e favolistica del paese, e a dimostrazione di questo basti citare i tontons-macoutes, famigerato corpo di polizia dai metodi efferati e dagli intenti repressivi il cui nome deriva da un personaggio del folklore haitiano. A partire da questo momento della storia haitiana, è cominciata, e continua tuttora, ciò che viene definita una vera e propria diaspora degli haitiani, i cui punti di approdo principali sono la Florida e il Québec, ma anche la Francia e altre regioni degli Stati Uniti.

Dopo le dittature dei due Duvalier, Haiti è diventata formalmente una repubblica. Il presidente Aristide ha instaurato una dittatura dai caratteri certo meno efferati di quelli conosciuti da Haiti nel periodo di Papa e Baby Doc, ma pur sempre allarmanti: Amnesty International, nel suo rapporto annuale per il 2002 ha segnalato un aumento delle uccisioni di civili da parte della polizia e delle esecuzioni di “giustizia popolare” per i sospetti criminali. In questa situazione, Haiti ha subito un embargo economico sugli aiuti sia da parte dell’Unione Europea che degli Stati Uniti. Dal 2006 il presidente della repubblica di Haiti democraticamente eletto è René Préval, in carica ancor oggi e scampato per miracolo al sisma.

Questo lungo excursus storico è necessario per capire perché da anni, e in modo palese dagli anni ’80, dopo la fine delle dittature Duvalier, Haiti è un paese misero, spesso seviziato da bande di delinquenti comuni. Già prima del terremoto, i furti e i rapimenti a fini di estorsione erano un’esperienza purtroppo quotidiana per molti haitiani, così come le sparatorie per strada. Le elezioni del 2006 hanno rappresentato un miglioramento sul piano politico, ma resta il fatto che l’aspettativa di vita è di 60 anni e che il 50% della popolazione è oggi analfabeta. Haiti è anche un paese che resiste, malgrado tutto. Nonostante i pochi alfabetizzati, vi è un’alta percentuale di intellettuali, giornalisti, scrittori o poeti, il paese è più che mai vivo e l’evoluzione politica che ha subito negli ultimi anni lo testimonia.

Dal momento del sisma, la situazione generale della penisola haitiana risulta estremamente critica da diversi punti di vista. Sul piano dell’igiene, le stime più attendibili e recenti parlano di 200.000 morti, molti dei quali sono stati sepolti molti giorni dopo il terremoto o si trovano ancora sotto le macerie. Tra i racconti che mi sono giunti in modo indiretto, ho sentito la storia di una famiglia che dopo la prima forte scossa, per ricongiungersi con altri parenti, ha camminato per decine di chilometri incontrando solo cadaveri sul proprio tragitto. Per finire, manca tutto, e in primis l’acqua potabile.

Sul piano sociale, un paese molto povero dove alcuni quartieri già erano in balia di bande criminali si espone più di altri a sciacallaggio ed estorsioni. Tra l’altro anche il carcere è crollato insieme ad altri importanti edifici di Port-au-Prince, e molti detenuti sono scappati.

Visti anche i precedenti storici ad Haiti e altrove, bisogna evitare che l’aiuto internazionale diventi una militarizzazione del paese ad opera degli Stati Uniti o di altre superpotenze. Attualmente l’aeroporto di Port-au-Prince è sotto il controllo americano e i soldati girano per strada. Ho apprezzato molto il commento di Bertolaso riguardo agli aiuti e l'ho trovato piuttosto equilibrato. Si è limitato a gridare "il re è nudo" constatando l'inefficacia degli aiuti internazionali, in un paese scassato dove l'ONU e gli eserciti di tutto il mondo sparano sulla folla in coda per una razione di cibo e i medici internazionali intervengono principalmente con interventi di amputazione.

A questo punto, resta solo da chiedersi come è meglio agire.

Cliccando qui potrai leggere una versione precedente di questo articolo sulla rivista on line Assaman

Nessun commento:

Posta un commento

Se vuoi commentare, sei libero di farlo. Se scrivi volgarità o se pubblicizzi un prodotto che non mi interessa, cancellerò il tuo commento.